Caravelle: storia di un brand di orologi vintage nella galassia Bulova
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Caravelle è un nome che evoca immediatamente il fascino degli orologi vintage degli anni '60. Nato come marchio “economico” sotto l’ala della prestigiosa Bulova, Caravelle ha saputo ritagliarsi una storia appassionante fatta di intuizioni di mercato, modelli iconici e un’eredità che arriva fino ai giorni nostri. In questo articolo ripercorriamo la storia di Caravelle, dalle origini nel boom economico del secondo dopoguerra fino al suo ruolo attuale all’interno del gruppo Bulova (oggi di proprietà Citizen), senza dimenticare curiosità e aneddoti che faranno brillare gli occhi agli appassionati di orologeria vintage.
Le origini di Caravelle: Bulova lancia un nuovo marchio (1962)
All’inizio degli anni ’60 il mondo dell’orologeria stava cambiando. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli orologi diventarono beni più accessibili: la crescente classe media poteva permettersi di possederne più di uno, e il mercato fu invaso da segnatempo economici, spesso dotati di movimenti senza rubini per ridurre i costi. Bulova – già allora uno dei nomi più rinomati nel settore – colse questa trasformazione come un’opportunità: per competere con marchi popolari a basso costo come Timex, decise di creare un brand parallelo di orologi abbordabili ma di qualità, preservando al contempo il prestigio del proprio nome principale.
Nasce così Caravelle, registrato come marchio nel 1962 da Bulova. L’idea era chiara: offrire orologi con movimento meccanico a rubini – quindi più precisi e durevoli dei concorrenti senza rubini – a un prezzo comparabile a quello dei prodotti economici dell’epoca. In pratica, Bulova volle creare una sorta di “Tudor” accanto al proprio “Rolex”, per usare un’analogia automobilistica: un marchio “fratello minore” che proponesse modelli più accessibili senza intaccare l’aura di lusso e innovazione del brand Bulova. I primi modelli Caravelle furono lanciati sul mercato americano con prezzi compresi tra circa $10,95 e $29,95 – cifre molto aggressive per l’epoca – posizionandosi esattamente nella fascia di Timex e degli altri orologi economici, ma offrendo in più l’affidabilità di movimenti con rubini e il design curato garantiti dal nome Bulova.
L’intuizione si rivelò vincente. Già a metà degli anni ’60 Caravelle iniziò a guadagnare popolarità come scelta “furba” per chi voleva un orologio stiloso e preciso senza spendere una fortuna. Bulova poté così presidiare il segmento entry-level del mercato senza sminuire i propri modelli di punta – anzi, soddisfacendo quei clienti giovani o dal budget limitato che un domani avrebbero magari aspirato a comprare un Bulova vero e proprio. Caravelle era nata per democratizzare l’orologio di qualità, e il pubblico accolse con entusiasmo questa novità.
L’ascesa negli anni ’60: il periodo d’oro di Caravelle
Sin dal suo esordio, Caravelle incarnò perfettamente lo spirito degli anni ’60: design eleganti ma “alla moda”, prezzi popolari e tanta pubblicità martellante (sull’onda dell’esperienza Bulova). Nel 1962 Caravelle debuttò con modelli semplici e robusti, molti dei quali pensati per un uso quotidiano e dinamico. Inizialmente la linea comprendeva orologi dallo stile sportivo, adatti alla vita attiva, affiancati poi da varianti più classiche ed eleganti per accontentare un pubblico eterogeneo. Questa doppia anima fu uno dei punti di forza del marchio: si poteva scegliere un Caravelle “sport” per il weekend e uno “dress” per l’ufficio, senza uscire dal budget.
Già pochi anni dopo il lancio, Caravelle raggiunse un traguardo storico: nel 1968 divenne il marchio di orologi con movimento a rubini più venduto in America. In altre parole, nessun altro produttore di segnatempo con movimenti di qualità (jeweled watches) vendeva quanto Caravelle in termini di unità negli Stati Uniti. Considerando che solo sei anni prima il brand nemmeno esisteva, si trattò di un successo clamoroso, frutto della combinazione di prezzo competitivo e qualità percepita. Bulova, forte di una rete distributiva capillare (oltre 20.000 rivenditori negli USA sul finire degli anni ’60, grazie anche all’espansione nei department store), spinse Caravelle ovunque: vetrine, cataloghi, riviste. Chiunque poteva permettersi “un Bulova”, o quasi – bastava scegliere Caravelle.
Va sottolineato che i Caravelle dell’epoca, pur economici, offrivano movimenti meccanici più che dignitosi. Molti modelli montavano all’inizio calibri svizzeri di base con 7 rubini, a cui seguirono versioni con più rubini man mano che la linea si ampliava. Le casse erano spesso in metallo comune (ottone cromato o placcato oro) per contenere i costi, ma la finitura estetica restava piacevole. Col tempo Bulova impiegò per Caravelle anche movimenti di altre provenienze, come meccaniche tedesche (West Germany) e perfino calibri giapponesi sugli ultimi modelli a carica manuale – segno che il marchio esplorava ogni opzione pur di mantenere un buon rapporto qualità-prezzo. Nonostante questi compromessi, i Caravelle anni ’60 sono ricordati per la loro affidabilità sorprendente: molti esemplari funzionano ancora oggi, prova che Bulova non lesinò sulla qualità di base per il suo “sottomarchio”. Come nota il collezionista e storico R. Ranfft, praticamente tutti i Caravelle venivano prodotti da fornitori esterni svizzeri (soprattutto la ditta Numa Jeannin SA di Fleurier) su specifiche Bulova – un modello di produzione che garantiva costi bassi ma standard controllati.
Modelli iconici degli anni ’60: dal “Vermouth” al Devil Diver
Nei cataloghi Caravelle degli anni ’60 comparvero decine di modelli dai nomi fantasiosi, spesso ispirati allo stile “space-age” e ai trend del momento. C’erano eleganti orologi da sera per donna e uomo, ma anche pezzi curiosi come il Caravelle “Vermouth”, dal design eccentrico e colorato, testimonianza di come il brand sapesse osare con estetiche moderne. Bulova sfruttò Caravelle anche come laboratorio di design: quadranti psichedelici, casse asimmetriche e altre stravaganze comparvero sotto questo marchio, intercettando la moda modernista degli Swinging Sixties. Allo stesso tempo non mancavano i segnatempo più classici: solo che ora anche uno studente poteva permettersi l’eleganza di un quadrante pulito con data alle 3, grazie a Caravelle.
Tra i modelli più amati di fine anni ’60 spicca senza dubbio il Caravelle Sea Hunter, un orologio subacqueo che ha alimentato un vero culto tra i collezionisti vintage. Lanciato verso il 1966, il Sea Hunter era dichiarato impermeabile fino a 666 piedi (circa 200 metri) di profondità, un valore insolito che fece sorridere molti – 666, il “numero del diavolo”! – tanto che il modello guadagnò presto il soprannome affettuoso di “Devil Diver”. Il Sea Hunter presentava un quadrante nero con grandi numeri 3-6-9-12 in stile Explorer, molto leggibile sott’acqua, e lunetta girevole per il tempo di immersione. Era di fatto la risposta Caravelle al crescente interesse per gli orologi sportivi e diver di fine decennio, e coniugava ottimamente funzionalità e costo contenuto. Un aneddoto interessante riguarda proprio questo modello: nel 1969 Bulova decise di fare un piccolo esperimento sull’onda del successo del Sea Hunter. Produsse una versione speciale del Devil Diver dotandola eccezionalmente di un movimento svizzero automatico (ETA 2472 a 17 rubini) al posto dei consueti calibri manuali giapponesi impiegati sui Caravelle standard. Quell’edizione limitata di Sea Hunter, riconoscibile dalla dicitura “Swiss Made” sul quadrante, è oggi una rarità molto ricercata – praticamente un Caravelle “anomalo” nato per testare un upgrade tecnico. Questo episodio dimostra come Bulova fosse disposta a sperimentare anche sul suo marchio economico, elevandone temporaneamente le specifiche pur di offrire qualcosa di nuovo al pubblico.
Accanto ai diver, Caravelle seguì da vicino anche la moda dei “digitali meccanici”: negli anni ’70 uscirono alcuni modelli con visualizzazione a finestrelle (i cosiddetti orologi a salto d’ora) che montavano movimenti manuali Made in Germany. Ad esempio, nel 1973 era a catalogo un Caravelle con display “digitale” e movimento tedesco 17 rubini, un pezzo curioso che oggi spunta ogni tanto nei mercatini vintage. Insomma, Caravelle non si fece mancare nulla: dagli orologi da battaglia ai dress watch placcati oro, dalle complicazioni cronografiche (elementari) fino alle stravaganze del periodo, riuscì a coprire praticamente ogni nicchia del mercato popolare. Il tutto “vestendo i panni della sorella maggiore” Bulova: non di rado infatti alcuni design Bulova di successo vennero riproposti in versione semplificata sotto il marchio Caravelle. Ad esempio, il famoso Bulova Oceanographer “Devil Diver” aveva il suo omologo Caravelle Sea Hunter molto simile nell’aspetto, offerto a una frazione del prezzo – un affare per gli appassionati, che ancora oggi sul mercato dell’usato possono trovare i Devil Diver Caravelle a circa metà del costo dei corrispettivi Bulova. Questo “travestirsi con gli abiti della sorella maggiore” fu un tratto distintivo di Caravelle negli anni d’oro: il brand sfruttava l’heritage Bulova adattandolo però al pubblico di massa.
Evoluzione negli anni ’70 e ’80: dal quarzo al declino (temporaneo)
Come tutti i produttori tradizionali, anche Caravelle dovette affrontare la sfida epocale dell’avvento degli orologi al quarzo a fine anni ’70. Mentre Bulova investiva in tecnologia (ricordiamo che proprio Bulova negli anni ’60 aveva rivoluzionato il settore con l’Accutron a diapason elettronico), Caravelle proseguiva la sua missione di orologio abbordabile e pratico. Negli anni ’70, la collezione Caravelle abbracciò gradualmente i nuovi movimenti al quarzo: furono lanciati modelli con calibro elettronico a batteria, molto precisi e sottili, in linea con la rivoluzione in atto. Questi segnatempo riuscirono a mantenere Caravelle rilevante anche di fronte all’invasione di orologi digitali giapponesi. L’enfasi si spostò sull’affidabilità e la precisione: la comunicazione dell’epoca presenta Caravelle come un orologio “pratico”, ideale per l’uso quotidiano, con il vantaggio di non dover essere caricato né aggiustato tanto spesso come i vecchi meccanici.
Durante gli anni ’80 e ’90, Caravelle estese la propria presenza anche fuori dagli USA, diventando un marchio distribuito globalmente come opzione di primo prezzo nelle gioiellerie e nei grandi magazzini. Bulova, divenuta nel frattempo parte del colosso giapponese Loews Corporation (1979), continuò a utilizzare Caravelle come linea di valore. Tuttavia, col passare del tempo e l’intensificarsi della concorrenza (da un lato i marchi giapponesi come Casio e Seiko, dall’altro i fashion watches degli anni ’90), il nome Caravelle perse un po’ della sua visibilità. Molti orologi Caravelle di questo periodo erano al quarzo, con design piuttosto semplici e produzione quasi interamente asiatica. L’industria orologiera viveva grandi cambiamenti, e Caravelle – da pioniera dei ’60 – si ritrovò ad essere uno dei tanti marchi economici in circolazione.
Nonostante ciò, il brand non scomparve: la sua eredità vintage restava viva tra i collezionisti, e la Bulova Watch Company ne conservò il marchio nel proprio portafoglio. Nel 2008 avvenne un fatto significativo: Bulova venne acquisita dal gruppo Citizen, gigante giapponese dell’orologeria. Da quel momento anche Caravelle entrò sotto l’ombrello Citizen. I nuovi proprietari giapponesi, forti della loro expertise nei movimenti al quarzo e automatici di massa, videro probabilmente in Caravelle una risorsa preziosa per coprire la fascia bassa del mercato occidentale con prodotti dal design curato in stile americano.
Caravelle nel gruppo Bulova (oggi Citizen): il rilancio come Caravelle New York
Dopo l’acquisizione da parte di Citizen, il marchio Caravelle ha conosciuto una nuova vita nel XXI secolo. Intorno alla metà degli anni 2010, Bulova ha deciso di rilanciare il brand dandogli un’identità più moderna e cosmopolita, pur richiamando le sue radici storiche. È nata così la linea “Caravelle New York”, pensata per un pubblico giovane e attento alle tendenze della moda. Questi nuovi Caravelle, presentati in collezioni per lui e per lei, offrono stile contemporaneo a prezzi accessibili, rimanendo generalmente sotto i 150 dollari (infatti la Caravelle New York New York Collection ha modelli tipicamente tra 79 e 149 $). Si tratta in gran parte di orologi al quarzo (con movimenti spesso forniti dalla stessa Citizen) con design che spaziano dal classico al trendy: alcuni modelli femminili sono arricchiti da cristalli sul quadrante, mentre altri maschili giocano con look analogico-digitale, ad esempio. Il focus è chiaramente sul fashion, supportato però dall’affidabilità tecnica garantita dal gruppo Bulova/Citizen.
L’operazione di rebranding ha sottolineato l’origine newyorkese del marchio – ricordiamo che Bulova nacque a New York nel 1875 – per aggiungere un’aura metropolitana ai prodotti. Gli orologi Caravelle New York vengono oggi venduti come accessorio di stile, comparendo spesso in contesti di moda e design. Questo non significa che il richiamo al passato sia andato perduto, anzi: Bulova ha intelligentemente giocato sulla fusione di heritage e modernità, utilizzando slogan come “Blending heritage with contemporary designs since 1962” per Caravelle. In altre parole, il marchio si propone come retro-cool, unendo l’estetica vintage a un tocco attuale.
Un segnale dell’importanza che Caravelle riveste ancora per Bulova è arrivato proprio di recente. Nel 2023, Bulova ha presentato una riedizione in chiave moderna del Caravelle Sea Hunter Devil Diver, riesumando il modello iconico di fine anni ’60 per offrirlo al pubblico odierno di appassionati. Questo nuovo Sea Hunter, recensito con entusiasmo dalla critica, è un diver automatico dal sapore vintage ma con specifiche aggiornate, pensato quasi come ponte tra la linea Caravelle e i modelli Bulova di fascia superiore. In effetti, è stato concepito per avere la qualità costruttiva di un Bulova entry-level, pur mantenendo il prezzo abbordabile tipico di Caravelle. Operazioni del genere mostrano come Caravelle rimanga un asset vivo: il brand continua a essere utilizzato da Bulova per sperimentare design neo-vintage e conquistare una fetta di mercato orientata al valore. Oggi sul sito ufficiale Bulova è presente un’intera collezione Caravelle, con decine di modelli sia da uomo sia da donna. In sintesi, pur non avendo più un sito autonomo, Caravelle è tuttora “Designed by Bulova” e fa parte integrante dell’offerta del gruppo.
Curiosità e aneddoti sul brand Caravelle
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Origine del nome “Caravelle”: Bulova non scelse a caso il nome del nuovo marchio. Le caravelle erano le famose navi veloci usate dagli esploratori europei del Rinascimento: un simbolo di viaggio, scoperta e innovazione. Negli anni ’50-’60, inoltre, il termine evocava modernità anche grazie al celebre aereo di linea francese Sud Aviation Caravelle, simbolo del progresso tecnologico nel trasporto aereo. Battezzando il brand “Caravelle”, Bulova voleva trasmettere l’idea di un orologio moderno, elegante e in movimento, adatto a chi abbracciava lo spirito del tempo e guardava al futuro ogni giorno semplicemente indossando il proprio orologio.
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Il paragone Rolex/Tudor: Spesso Caravelle viene citato come uno dei primi esempi di “sister brand” nel mondo dell’orologeria, paragonabile al rapporto tra Rolex e Tudor. Proprio come Rolex creò Tudor per offrire orologi di qualità a prezzo inferiore, Bulova con Caravelle ha anticipato di qualche anno questa strategia nel panorama americano. All’epoca però Bulova non pubblicizzò apertamente Caravelle come “sottomarca”: anzi, gli annunci Caravelle presentavano i prodotti come moderni e di tendenza, senza menzionare Bulova in modo prominente, probabilmente per far percepire il marchio come fresco e indipendente. Solo il piccolo disclaimer “Caravelle by Bulova” sui quadranti o nelle garanzie rivelava la parentela. In retrospettiva, i collezionisti riconoscono a Caravelle il merito di aver aperto la strada ad altre operazioni simili nel settore – un esempio lampante di lungimiranza commerciale.
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Il “Devil Diver” Caravelle vs Bulova: Come abbiamo raccontato, Caravelle ebbe il suo orologio subacqueo Devil Diver quasi in parallelo a Bulova. La curiosità è che entrambi i modelli – sia il Bulova Oceanographer che il Caravelle Sea Hunter – riportavano la fatidica impermeabilità a 666 piedi sul quadrante, e quindi condividono il medesimo nickname. Questo può generare un po’ di confusione tra i neofiti: di solito quando si parla del “Devil Diver” ci si riferisce al Bulova, ma in realtà anche il Caravelle merita a pieno titolo il nomignolo. Oggi un Bulova Oceanographer originale degli anni ’60 in buone condizioni può raggiungere cifre importanti sul mercato vintage, mentre un Caravelle Sea Hunter coevo è acquistabile a prezzi molto più bassi pur offrendo un look quasi identico. Per questo diversi collezionisti considerano i Caravelle Devil Diver come “gemelli diversi” dei Bulova, ottimi per godersi il fascino di quell’epoca senza spendere una fortuna.
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Date code Bulova anche su Caravelle: Un dettaglio amato dai collezionisti riguarda i codici datari Bulova impressi sul fondello. Bulova infatti, dagli anni ’50 in poi, utilizzò una combinazione di lettera e numero per indicare l’anno di produzione (ad esempio “M” per gli anni ’60, “N” per gli anni ’70, seguito da un numero da 0 a 9 per il singolo anno). Ebbene, anche i Caravelle recavano questi codici: ad esempio un fondello marcato “M6” indica un Caravelle prodotto nel 1966. Questo sistema permette tutt’oggi di datare con precisione gli orologi Caravelle vintage e conferma quanto fossero integrati nei processi produttivi Bulova.
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Caravelle e la cultura pop: Pur non essendo blasonato come altri marchi, Caravelle ha fatto capolino qua e là nell’immaginario collettivo. Negli Stati Uniti, ad esempio, negli anni ’70 gli orologi Caravelle erano spesso scelti come regalo di laurea o di diploma, in quanto rappresentavano un oggetto di valore dal costo contenuto – un modo per augurare “buona fortuna” ai giovani che iniziavano la vita adulta, regalandogli il loro “primo Bulova”. Inoltre comparvero in alcune pubblicità televisive locali e su riviste popolari, con slogan che puntavano sull’idea di stile accessibile. Una celebre inserzione del 1968 mostrava un Caravelle definito scherzosamente “un orologio da ragazzini” perché costava così poco da poter essere il primo orologio di un adolescente – ma al tempo stesso offriva l’orgoglio di indossare un prodotto della famiglia Bulova. Insomma, Caravelle è stato per molti americani il “my first real watch” e ancora oggi evocare quel nome significa risvegliare ricordi nostalgici di un’epoca in cui l’orologio era il regalo per eccellenza.
Conclusione
La saga di Caravelle dimostra come un marchio possa nascere da un’astuta strategia di marketing e finire per conquistare un posto nel cuore di generazioni di clienti. Da semplice linea economica creata da Bulova nei ruggenti anni ’60, Caravelle è diventato sinonimo di orologio affidabile alla portata di tutti, accompagnando il polso di studenti, lavoratori e appassionati per decenni. La sua storia intreccia l’evoluzione dell’orologeria nel Novecento: dal meccanico al quarzo, dal design space-age alle riedizioni vintage. Oggi Caravelle vive ancora, forte del suo DNA fatto di heritage e innovazione, come parte integrante della galassia Bulova-Citizen. E chissà che il futuro non riservi altre sorprese: se c’è una lezione che Caravelle ci insegna, è che la passione per l’orologeria può battere il tempo, rinnovandosi continuamente senza dimenticare le proprie radici. In un mondo in cui tutto scorre veloce, Caravelle continua a segnare le ore con l’affidabilità di ieri e lo stile di domani. Un ticchettio che dura dal 1962 e promette di accompagnarci ancora a lungo.