la storia di The Rolex Kille by Cronostorie di LeosWatches

La morte al polso: il misterioso caso del Rolex che incastrò un assassino

Nel mondo degli orologi di lusso, a volte un innocuo segnatempo può diventare il testimone silenzioso di eventi oscuri. In occasione di Halloween, non c’è storia più adatta di quella in cui un orologio si trasforma nell’indizio chiave di un omicidio misterioso. Quella che stai per leggere è una vicenda reale e documentata, dai contorni così inquietanti da sembrare la trama di un racconto horror – con la differenza che è tutto vero.

Il Rolex che parlò dal fondo del mare

La rete risale lenta, scura d’acqua e di alghe, in quell’alba lattiginosa d’Inghilterra. I gabbiani girano come lame nel cielo. Il pescatore che guida l’argano sente un urto sordo, un peso che non è pesce. Poi la rete si apre sul ponte e il tempo—il tempo—cade ai suoi piedi: un corpo gonfio, senza nome. E al polso, una luce fredda, quasi indecente nella sua pulizia: un Rolex.

Il mare ha cancellato molto: lineamenti, colori, storie. Ma non quel luccichio. La cassa Oyster è ancora chiusa come un pugno, il vetro un occhio immobile. Nessuno parla, per qualche secondo. È come se l’oggetto dentro la rete stesse ancora contando qualcosa.


Lo chiameranno il “Rolex Killer”. Ma prima dei titoli, prima dei giornali, c’è un’estate del 1996 che si apre come una ferita. Da mesi un uomo viveva di prestiti d’identità e promesse: si faceva chiamare David Davis, aveva modi lisci, parole che scivolavano come olio. Il suo vero nome, Albert Johnson Walker, lo avrebbe tradito solo più tardi; per ora bastava esserci e, soprattutto, somigliare. A chi? A un’altra vita.

Quell’altra vita era Ronald Platt: discreto, ordinario, uno di quelli che salutano il vicino e stringono con cura la fibbia dell’orologio prima di uscire. Walker aveva preso molte cose da Platt: documenti, indirizzi, una linea di galleggiamento nella società. L’aveva fatto piano, come si spogliano le case vuote, stanza dopo stanza. Quando Platt rientrò in Inghilterra, inatteso, fu come un ritorno del fantasma al proprietario della maschera.

Walker capì che non si trattava più di fingere, ma di cancellare.


La barca scivola fuori dal porto. Acqua piana, cielo di piombo. «Un giro, due canne, due chiacchiere», aveva detto. Amici che si ritrovano. È strano come i momenti peggiori assomiglino sempre a riti familiari. Ci sono parole leggere, forse una risata, forse un silenzio troppo lungo. Poi un gesto rapido. Il colpo, lo sbilanciamento, il respiro che si spezza, la corda, l’ancora. Il mondo rimpicciolisce a una bolla d’aria e a un bruciore agli occhi. E in mezzo a quell’urgenza terribile, un dettaglio: il Rolex resta al polso.

Walker lo nota? O lo lascia lì per una pietà malata, come si lascia una fede nuziale ai morti? Il mare non fa domande, prende e inghiotte. La barca torna, la scia scompare. Per due settimane non succede nulla, o forse succede tutto: il corpo scende, oscilla, si gonfia, si libera, risale.

E al polso, dentro la cassa chiusa, un calibro continua a battere.


La polizia non ha un nome. Ha un corpo e un orologio. È curioso come spesso la differenza tra un enigma e una risposta sia un oggetto. Quel Rolex è un Oyster Perpetual Date: automatico, corona serrata, riserva di carica di circa 48 ore. Se il braccio non si muove, il rotore smette di alimentarlo e la molla, pian piano, si distende fino all’ultimo. Sul quadrante, la data rimane incastrata in un giorno preciso. Le lancette si fermano in un punto che è una cifra e un sussurro.

esemplare di Rolex Oyster Perpetual Datejust ref. 126234, 36 mm case, Black dail and Jubilee bracelet di ajay_suresh

Gli investigatori lo trattano come un sopravvissuto. Lo asciugano, lo fotografano, ne segnano l’ora della morte con la secchezza della scienza. Non è un orologio, ora: è un diario. E come ogni diario, porta una firma. Sul fianco della cassa, nelle anse, la serie. Con quella si risale a un negozio, a una vendita, a un nome. La telefonata alla maison non è spettacolare come un colpo di scena cinematografico, eppure ha il medesimo effetto: «Quel numero appartiene a Ronald Platt».

D’un tratto, il cadavere ha una storia e la storia ha dei contorni che coincidono troppo bene con la vita di “David Davis”. I conti, i documenti, i gesti. La barca. Tutto si orienta verso un centro di gravità che ha il volto liscio della truffa e la lama fredda della necessità. Nelle stanze grigie del commissariato, i minuti si allungano mentre il caso si stringe.


In aula, qualcuno parla di forensic horology con un sorriso ironico. Ma non c’è nulla di ironico in quell’orologio che ha attraversato l’acqua e il buio per fermarsi al momento giusto. I periti spiegano: la cassa ha tenuto, la lancetta dei secondi si è arresa quando la molla l’ha ordinato, la data si è bloccata e quello, signori, quello è un tempo. Le correnti del sud-ovest dell’Inghilterra, le temperature, il comportamento dei corpi in mare: tutto concorre, ma è la regolarità del meccanismo a legare i fili. Il Rolex non accusa: testimonia.

La difesa prova a cambiare il ritmo. Parla di incidenti, di possibilità, di calendari che ingannano. Ma il metallo non arrossisce, non balbetta. È preciso, indifferente e, proprio per questo, terribile. L’ergastolo cade come un coperchio. Il soprannome—Rolex Killer—fa il giro dei giornali e l’oggetto diventa simbolo: emblema di un delitto e della sua soluzione. Un cerchio che si chiude con la stessa, inesorabile, puntiliosità con cui un movimento automatico scala dente dopo dente la sua giornata.

Gli inquirenti non avevano altre prove né identità certe. Fu proprio l’orologio a “parlare”, fornendo dettagli cruciali per risolvere il caso. Grazie al movimento meccanico di quel Rolex, dotato di una riserva di carica di circa 48 ore e di datario, la polizia poté stimare con precisione l’ora del decesso: l’orologio si era fermato circa due giorni dopo l’ultima carica, indicando la data in cui probabilmente il proprietario era stato ucciso.


A volte si dice che gli orologi rubino il tempo. Non è vero. Lo raccolgono. Lo trattengono in tracciati sottili, in ruote e scappamenti, come un nastro magnetico invisibile. In quella estate, un Rolex ha raccolto una storia che nessun altro avrebbe potuto raccontare: quando un uomo è stato strappato alla vita, quanto a lungo il suo polso ha continuato a raccontarla, come la verità sia tornata a galla. E in tutto questo non c’è magia, nessun sortilegio. Solo la fermezza delle cose ben costruite.

È per questo che questa vicenda inquieta più di una leggenda. Perché non c’è castello né foresta, non c’è maledizione o rito antico. C’è l’avidità che indossa una faccia qualunque e c’è un orologio che, restando fedele alla sua natura, diventa memoria. In quell’autunno, quando le giornate si accorciano e i tramonti si fanno ruggine, la storia del Rolex Killer somiglia a una fiaba nera: una barca come una zattera, un mare come una stanza chiusa, un ticchettio che non vuole morire.

Se ascolti bene, nelle notti di vento, potresti sentirlo. Non è il rumore del mare. È la molla che cede l’ultimo respiro, la lancetta che si ferma dove deve, il tempo che si alza dal fondo e dice: sono stato qui. E non dimentico.

In questa settimana di Halloween, guardare l’ora potrebbe far venire i brividi più del solito. Tic tac – fate attenzione, perché ogni orologio ha una storia da raccontare, non sempre rassicurante.

 

Credits: immagine Rolex Oyster Perpetual Datejust ref. 126234, 36 mm case, Black dail and Jubilee bracelet. work by ajay_suresh from https://www.flickr.com/photos/ajay_suresh/50847668712/

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