
Swatch: il piccolo orologio che salvò l’orologeria svizzera
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Le origini – Crisi e rinascita di un’idea rivoluzionaria
Negli anni ’70 l’industria orologiera svizzera navigava in acque tempestose. L’avvento degli orologi al quarzo giapponesi, economici e precisi, aveva fatto vacillare il dominio elvetico: storiche aziende erano sull’orlo del fallimento e la quota di mercato degli orologi Swiss Made si era ridotta drasticamente. In questo clima di crisi, un consulente visionario di nome Nicolas G. Hayek viene incaricato dalle banche svizzere di studiare un piano di salvataggio. Hayek propose una mossa audace: fondere i due maggiori gruppi orologieri nazionali, SSIH e ASUAG, in un’unica società (che diventerà in seguito SMH e infine Swatch Group nel 1998) e lanciare un nuovo tipo di orologio, completamente diverso da ciò che il mercato aveva visto fino ad allora.
Nasce così l’idea dello Swatch, un orologio analogico al quarzo, prodotto in Svizzera ma leggero, colorato, divertente e dal prezzo accessibile. Il nome stesso “Swatch” riflette questa filosofia: se molti pensavano fosse la fusione di “Swiss” e “Watch”, Hayek rivelò invece che stava per “Second Watch”, ovvero “secondo orologio”. L’intento era chiaro: non un oggetto di lusso da custodire gelosamente, ma un accessorio alla moda da indossare tutti i giorni, da abbinare al proprio stile, magari da collezionare in diverse fantasie – insomma, un secondo orologio allegro e spensierato, complementare al segnatempo tradizionale.
Dopo mesi di sviluppo presso la manufactura ETA (guidata dall’ingegnere Ernst Thomke e dai suoi giovani collaboratori Elmar Mock e Jacques Müller), lo Swatch vede la luce. Il 1º marzo 1983 a Zurigo viene presentata la prima collezione composta da 12 modelli dal design essenziale ma accattivante. Quegli orologi in plastica, resistenti all’acqua e agli urti, costavano inizialmente 39,90 franchi svizzeri l’uno (prezzo poi uniformato a 50 franchi) – una cifra rivoluzionaria per un orologio svizzero. Dietro la loro apparente semplicità c’era un piccolo capolavoro di ingegneria industriale: grazie all’assemblaggio completamente automatizzato e alla riduzione del numero di componenti da circa 90 a soli 51 pezzi, produrre uno Swatch costava circa l’80% in meno rispetto ai metodi tradizionali. La scommessa di Hayek era lanciata: uno Swiss Made accessibile, tecnologicamente avanzato e soprattutto carico di valore emozionale, quasi un manifesto culturale più che un semplice orologio.
Il boom degli anni ’80 – Swatch-mania globale
La reazione del pubblico fu immediata e travolgente. Hayek e il suo team si erano posti obiettivi ambiziosi – vendere un milione di Swatch entro il 1983 e 2,5 milioni l’anno seguente – ma la realtà superò le aspettative. Complici un’aggressiva campagna di marketing e il design fresco e colorato, in Svizzera gli Swatch divennero presto un fenomeno di culto. Nei primi tre anni ne furono venduti oltre 20 milioni, superando quota 50 milioni nel 1988 e addirittura 100 milioni di pezzi entro il 1991 – risultati impensabili solo pochi anni prima, che segnarono la rinascita dell’orologeria svizzera sul mercato mondiale.
Dagli uffici di Bienne, la “febbre” Swatch contagiò rapidamente tutto il globo. Gli orologi Swatch sbarcarono negli Stati Uniti, dove raggiunsero l’apice di popolarità a metà anni ’80, con l’apertura di boutique monomarca Swatch Stores nelle grandi città. Indossare uno Swatch divenne sinonimo di appartenenza alla cultura pop del decennio: erano oggetti cool, dal linguaggio universale, gli stessi modelli venduti identici a Parigi come a New York. C’era chi ne collezionava a decine per abbinarli ai vestiti e chi seguiva ogni nuova uscita come un evento imperdibile. Si arrivò persino a indossarne due sullo stesso polso, oppure ad utilizzarli in modi stravaganti – ad esempio come elastico per fermare la coda di cavallo!. Gli Swatch, con i loro colori vivaci e design stravaganti, mandarono all’aria le vecchie regole dell’orologeria tradizionale, trasformando l’orologio in un elemento di espressione personale e di divertimento.
Il successo commerciale fu accompagnato da iniziative di marketing spettacolari, al limite del folle – perfettamente in linea con lo spirito del brand. Emblematico fu ciò che accadde nel 1984 a Francoforte: per celebrare il primo milione di orologi venduti e il primo compleanno dell’azienda, Swatch installò sulla facciata del grattacielo della Commerzbank un gigantesco orologio funzionante alto 162 metri e pesante 13 tonnellate, entrando così nel Guinness dei Primati. La visione di un enorme Swatch giallo canarino sospeso sullo skyline tedesco era più che una trovata pubblicitaria – era il simbolo che una nuova era giocosa e fuori dagli schemi era arrivata nell’orologeria.
In quegli stessi anni, il carismatico Hayek diventò il paladino di questa rivoluzione colorata. La stampa iniziò a parlare di “Swatch-mania”, e il brand fu capace di generare attorno a sé una vera community di appassionati. “Con Swatch l’orologio divenne il protagonista di eventi globali”, avrebbe poi commentato lo storico Pierre-Yves Donzé, sottolineando come quell’icona avesse raggiunto uno status di culto e un seguito di collezionisti in tutto il mondo. Dal canto suo, Hayek non nascose mai l’entusiasmo quasi fanciullesco che alimentava la sua creatività, arrivando a dichiarare: “Bisogna coltivare la propria immaginazione, tenere vivo il bimbo di sei anni che è in noi. Continuare a credere a Babbo Natale. E avere il coraggio di esprimere le proprie idee, anche se sembrano folli”. Era proprio questa filosofia, visionaria e un po’ ribelle, ad aver guidato la nascita di Swatch – e il mondo sembrava averne abbracciato la magia.
Tra arte e innovazione – l’evoluzione negli anni ’90
Superata l’euforia iniziale, Swatch affronta la sfida di rimanere rilevante e di continuare a sorprendere il pubblico negli anni ’90. Se gli orologi in plastica colorata avevano conquistato i giovani, la scommessa successiva fu quella di trasformare lo Swatch in oggetto di arte e design, ampliandone il fascino a un pubblico ancora più vasto. Già dalla fine degli anni ’80, la Swatch avvia collaborazioni con artisti di fama internazionale – una trovata pionieristica per l’epoca. Illustratori e creativi come Keith Haring, Jean-Michel Folon, Sam Francis, Pierre Alechinsky, Mimmo Paladino (solo per citarne alcuni) firmarono edizioni speciali di Swatch in tiratura limitata. All’improvviso l’umile “orologino” di plastica diventava una tela in miniatura su cui esprimere arte contemporanea: alcuni modelli divennero ambitissimi dai collezionisti e contribuirono a dare nuova profondità al marchio, dimostrando che anche un oggetto pop poteva avere un’anima culturale.
Nel 1991 un catalogo italiano di orologi intitolato “Lo Swatch da collezione” arrivò persino a definire certi esemplari come “smeraldi”, a indicare il loro valore nel mercato dei collezionisti. Pur essendo pensato per il largo pubblico, Swatch seppe quindi coltivare anche un’aura cult attorno alle sue serie limitate e collaborazioni artistiche, anticipando la tendenza odierna degli oggetti di design democratici ma ricercati.
Intanto il gruppo aziendale, forte del successo di Swatch, espandeva il proprio impero. Nel 1998 la SMH adotta ufficialmente il nome The Swatch Group, e sotto la guida di Hayek inizia ad acquisire prestigiosi marchi svizzeri di alta gamma – da Breguet a Blancpain, da Omega a Longines – diversificando il proprio portafoglio. Paradossalmente, il “gioiello” che aveva rilanciato il gruppo restava proprio lo Swatch, l’orologio democratico per eccellenza, il cui spirito innovatore permeava anche le strategie di alta orologeria.
Swatch dal canto suo continuò a reinventarsi. Negli anni ’90 lanciò una miriade di nuove collezioni e varianti per soddisfare ogni gusto e occasione. Alcuni esempi: la linea Irony introdusse casse in metallo per un look più adulto; le Scuba portarono gli Swatch sott’acqua con colori fluo e impermeabilità per i subacquei amatoriali; la serie Skin presentò orologi ultra-sottili, eleganti e leggeri; senza dimenticare la simpatica linea Flik Flak dedicata ai bambini (introdotta già nel 1987). Swatch sperimentò anche soluzioni avveniristiche: a metà anni ’90 propose modelli con funzioni da cercapersone (come il “BeepUp” con display per i numeri chiamanti) anticipando in un certo senso gli smartwatch – un’idea in anticipo sui tempi che però non ebbe fortuna, anche a causa dell’ingombro e dei costi del servizio di paging. Più successo ebbero invece le iniziative legate all’innovazione digitale: nel 1998 Swatch lanciò la provocatoria idea dello Swatch Internet Time, un nuovo sistema di misurazione del tempo in “.beat” che aboliva fusi orari (un concetto curioso, sebbene più pubblicitario che pratico). E nei primi anni 2000 arrivò persino uno Swatch Paparazzi, orologio in collaborazione con Microsoft in grado di scaricare via radio news, meteo e quotazioni di borsa – uno dei primi veri smartwatch della storia.
Nonostante il fisiologico calo delle vendite rispetto al boom degli ’80, Swatch rimase un marchio amatissimo e ben presente nell’immaginario collettivo. La sua influenza si misurava anche da cose simboliche: ad esempio la Swatch (in partnership con la “sorella” di lusso Omega) fu scelta come cronometro ufficiale dei Giochi Olimpici del 1996, 2000 e 2004 – un riconoscimento della affidabilità e dell’innovazione tecnica raggiunte. Inoltre il brand continuò a dialogare con la cultura e la musica: celebre la collaborazione del 2013 con il cantante pop Mika, che disegnò due modelli in edizione limitata ispirati al folklore (gli Swatch Kukulakuku). Swatch dimostrava così di sapersi adattare ai tempi, restando giovane nello spirito anche a decenni di distanza dalla sua fondazione.
Dal nuovo millennio ad oggi – tradizione, rivoluzione e cultura pop
Arrivati al nuovo millennio, Swatch aveva già lasciato un segno indelebile nella storia dell’orologeria, ma non per questo ha smesso di innovare. Nel 2013, a trent’anni dal debutto del primo Swatch, il marchio ha stupito ancora il mercato presentando Sistem51, il primo movimento meccanico a carica automatica completamente assemblato da macchine. Con soli 51 componenti (un numero quasi magico per la casa) e una produzione robotizzata in serie, Sistem51 ha portato la filosofia Swatch – semplificazione tecnica e democratizzazione dell’orologio – nel mondo dei segnatempo meccanici, tradizionalmente considerati costosi e artigianali. È stata una rivoluzione silenziosa: un orologio automatico Swiss Made venduto a poche decine di euro, con design giovanile e zero manutenzione, il tutto celebrato da una grafica del quadrante spesso ispirata al cosmo e alle galassie (non a caso, un intero universo in 51 pezzi!).
Parallelamente, Swatch ha continuato a investire in materiali innovativi. Nel 2021 ha introdotto la Bioceramic, un composito di ceramica e materiale bio-sourced (derivato dall’olio di ricino) che offre leggerezza, resistenza ai graffi e un tocco setoso al tatto. La Bioceramic è diventata presto la nuova “pelle” di molti modelli Swatch, segnando un altro passo avanti nella fusione tra alta tecnologia e sostenibilità ambientale – senza rinunciare al divertimento, grazie ai colori vivaci e alle finiture inedite che questo materiale consente.
Ma l’evento che più di recente ha ribadito la rilevanza culturale di Swatch è stato il lancio della collezione Bioceramic MoonSwatch nel marzo 2022. In partnership con Omega, Swatch ha realizzato una versione pop del leggendario cronografo Speedmaster “Moonwatch”: 11 modelli ispirati ai pianeti e corpi celesti (dal rosso di Marte al blu di Nettuno, passando per Luna e Sole), tutti con cassa in Bioceramic e movimento al quarzo, venduti a un prezzo popolare. Il risultato? Un clamore mondiale senza precedenti: dal giorno del debutto, file chilometriche di persone si sono accalcate davanti ai negozi Swatch in ogni continente pur di aggiudicarsi un MoonSwatch, in una scena che ricordava più un’uscita di un nuovo iPhone che un semplice orologio. In poche ore i modelli sono andati esauriti, alimentando un mercato secondario e un tam-tam mediatico impressionante. C’è chi l’ha definito “il lancio di orologio svizzero di maggior successo di sempre”. Sicuramente, a distanza di 40 anni dalla nascita del brand, Swatch è riuscita ancora una volta a “far tremare” l’industria orologiera, dimostrando che l’innovazione e la creatività possono far breccia anche nell’era digitale. Sull’onda di questo successo, nel 2023 è seguita una nuova collaborazione provocatoria: lo Swatch x Blancpain, un tributo in chiave Swatch al celebre orologio subacqueo Fifty Fathoms, anch’esso realizzato in Bioceramic e lanciato in vari colori dedicati ai cinque oceani. Ancora una volta un marchio di lusso del gruppo viene “reinterpretato” in versione giocosa e accessibile, per la gioia degli appassionati e dei nuovi fan che magari si avvicinano all’orologeria proprio attraverso queste iniziative.
Guardando la storia di Swatch nel suo complesso, è impossibile non rimanere colpiti da quanto questo piccolo, semplice orologio in plastica abbia inciso profondamente nella cultura e nel costume degli ultimi decenni. Nato da una crisi, ha saputo trasformarla in opportunità, rivoluzionando non solo un settore industriale ma anche il modo in cui la gente vive l’orologio: da strumento per leggere l’ora a medium di espressione personale, da oggetto di status a accessorio democratico e creativo. Swatch ha democratizzato l’innovazione, portando l’Alta Orologeria alla portata di tutti (chi avrebbe mai pensato di poter comprare un segnatempo svizzero preciso per poche decine di franchi?) e al contempo ha portato un po’ di follia e arte nel mondo dei prodotti di massa.
Oggi, dopo oltre quarant’anni, lo spirito Swatch – irriverente, giocoso e all’avanguardia – continua a vivere in ogni nuovo modello e progetto del brand. Dalle sale di design di Bienne, gli stessi valori di allora guidano i creativi: audacia, amore per il colore, voglia di raccontare una storia attraverso un quadrante. Se l’orologeria svizzera è tornata a splendere lo deve anche a questo piccolo grande fenomeno. E chissà quante volte, guardando l’ora su un Swatch al proprio polso, qualcuno ha sorriso sentendosi parte di quella storia. Del resto, “un buon imprenditore è come un artista, crea sempre qualcosa di nuovo superando gli ostacoli”, diceva Hayek – e il suo capolavoro, lo Swatch, continua a ricordarcelo ogni giorno con il suo ticchettio vivace e colorato.
credits: Sito ufficiale Swatch Group - House of Switzerland, articolo “The man behind the Swatch” - Wikipedia.