immagine orologio Maria Antonietta per la storia del tesoro maledetto su Cronostorie

L’orologio di Maria Antonietta: il tesoro maledetto di Abraham-Louis Breguet

Nel cuore della Parigi prerivoluzionaria, un oggetto straordinario iniziò a prendere forma: l’orologio di Maria Antonietta, un capolavoro destinato a diventare leggenda. Questo segnatempo leggendario – noto anche come “il tesoro maledetto” – racchiude in sé misteri secolari, genialità artigiana e un’aura oscura che lo rende protagonista di una delle storie più affascinanti e sinistre dell’orologeria. Tra intrighi di corte, rivoluzioni sanguinarie, furti misteriosi e ritorni inaspettati, la storia di quest’orologio attraversa i secoli come un’ombra gotica, intrecciandosi con il destino tragico della sua celebre destinataria e con i misteri dell’orologeria dell’epoca. Prepariamoci a un viaggio nel tempo: quello di un orologio maledetto che nessuno ha mai potuto possedere davvero fino in fondo.

Abraham-Louis Breguet e l’arte orologiera del suo tempo

Per comprendere la nascita di questo orologio maledetto, dobbiamo prima immergerci nella figura del suo creatore, Abraham-Louis Breguet. Siamo nella seconda metà del Settecento: Breguet è un giovane orologiaio svizzero trapiantato a Parigi, destinato a rivoluzionare l’arte orologiera del suo tempo. Fin dal 1775 egli gestisce un atelier nel cuore della città, e in meno di un decennio si guadagna la fama di maestro innovatore. Tra le sue prime invenzioni vi è l’“orologio perpetuo” a carica automatica – una novità assoluta – e perfeziona meccanismi di ripetizione minuti (orologi in grado di suonare l’ora come minuscoli carillon). In un’epoca in cui la precisione e l’eleganza dei segnatempo erano simboli di potere, Breguet divenne rapidamente il beniamino dell’aristocrazia.

Grazie anche all’attenzione di Maria Antonietta, la giovane e sofisticata regina di Francia, la reputazione di Breguet cresce a dismisura. La regina nutriva una vera passione per gli orologi e possedeva già vari esemplari creati dal maestro. Non perdeva occasione di raccomandare Breguet ai nobili di corte e agli ospiti illustri di Versailles. Ben presto l’orologiaio trovò la sua clientela fra teste coronate e diplomatici di tutta Europa, meritandosi l’appellativo di “re degli orologiai”. Breguet, con la sua discrezione e il suo genio, rappresentava l’avanguardia: i suoi orologi dal quadrante pulito e dalle sottili lancette azzurrate a “pomme” (le celebri lancette Breguet) introducevano uno stile nuovo, sobrio e raffinato rispetto all’opulenza barocca dei decenni precedenti. La storia di Breguet si lega indissolubilmente alla storia della nobiltà europea e ai progressi tecnici dell’orologeria: e proprio all’apice di questo fermento, egli ricevette l’incarico destinato a segnare per sempre la sua carriera.

La commissione misteriosa e la creazione di un capolavoro leggendario

Tutto ebbe inizio in modo quasi furtivo e intrigante. Nel 1783, secondo la tradizione, un ufficiale delle Guardie Reali si presentò nell’atelier di Breguet portando con sé una richiesta fuori dall’ordinario. Quel messaggero misterioso commissionò a Breguet un orologio destinato a Maria Antonietta, con specifiche che fecero sgranare gli occhi perfino al maestro orologiaio: l’orologio doveva racchiudere tutte le complicazioni e le funzioni allora conosciute, senza badare a spese né a tempi di realizzazione. In altre parole, al giovane Abraham-Louis venne chiesto di creare il più grandioso segnatempo immaginabile, un congegno mai visto prima, degno di una regina. Ogni metallo comune doveva essere sostituito dall’oro scintillante; ogni trovata tecnica disponibile doveva essere inclusa nel progetto. Il committente anonimo aggiunse, con disinvoltura quasi inquietante, che non vi sarebbe stato alcun limite di prezzo né di tempo per completare l’opera. Un vero sogno per un artigiano – o forse un incubo mascherato da sogno, dato il compito titanico.

L’identità di chi ordinò questo prodigio rimane tuttora avvolta nell’ombra. Chi era l’ufficiale che parlava a nome del misterioso mecenate? C’era davvero una figura nell’alta società pronta a finanziare un tale capriccio tecnologico per la sovrana? Le voci nel tempo si sono rincorse come sussurri nei corridoi di Versailles. C’è chi ha ipotizzato che potesse essere stato lo stesso re Luigi XVI a voler sorprendere la consorte con un dono spettacolare; altri hanno perfino suggerito una teoria cospirativa: che dietro l’ordine si celassero dei nemici della corona, intenzionati a mettere in trappola la regina evidenziando le sue “spese folli” (ricordando lo scandalo dell’Affare della Collana che poco tempo prima aveva macchiato la reputazione di Maria Antonietta). Ma la versione più romantica – e oggi più accreditata – identifica il mandante segreto nell’uomo che nutriva per Maria Antonietta un amore devoto: il conte svedese Axel von Fersen, intimo amico e probabilmente amante della regina. Fersen, si dice, voleva regalarle l’orologio più bello e complicato al mondo, un tributo di amore e ammirazione destinato a durare per l’eternità. Che la verità sia sepolta con loro o meno, una cosa è certa: fin dall’inizio questa commissione nacque sotto il segno del mistero.

Breguet accettò la sfida. Come un moderno alchimista del tempo, il maestro si mise all’opera su quello che definì il suo “orologio da cattedrale”, poiché comprimeva la complessità di un orologio monumentale nei pochi centimetri di un orologio da tasca. L’orologio di Maria Antonietta – che avrebbe poi preso il numero di produzione 160 – iniziò così a vivere nei disegni e nei taccuini dell’atelier. Ogni notte, tra il lume tremolante delle candele, Breguet progettava ingranaggi microscopici e meccanismi complessi, spingendo la maestria artigiana verso confini inesplorati. Sembrava quasi un’opera stregata: più l’orologiaio aggiungeva funzioni e abbellimenti, più l’oggetto assumeva un’aura mitica, come se ogni ruota e ogni molla portassero con sé un frammento di destino.

Tutte le complicazioni: un prodigio dei misteri dell’orologeria

L’orologio destinato a Maria Antonietta doveva essere un vero compendio di tecnologia settecentesca, il più complicato mai costruito. Breguet concepì un congegno con 823 componenti totali, utilizzando materiali preziosi e innovativi. Eccone alcune complicazioni e caratteristiche tecniche più incredibili incluse in questo straordinario segnatempo:

  • Carica automatica (orologio “perpetuo”) – Un’innovativa massa oscillante in platino permetteva all’orologio di ricaricarsi da solo col movimento, rendendolo un perpetuo che non necessitava di chiavi di carica.
  • Ripetizione dei minuti – Un meccanismo in grado di suonare l’ora, i quarti e i minuti su richiesta, come un minuscolo carillon nascosto: nel silenzio di una stanza buia, bastava azionare una leva perché il segnatempo “parlasse”, scandendo il tempo con rintocchi melodiosi.
  • Calendario perpetuo completo – Un calendario avanzato che indicava giorno, data, mese e teneva conto automaticamente degli anni bisestili, promesso a funzionare correttamente per secoli senza intervento umano.
  • Equazione del tempo – Una complicazione astronomica sofisticata che mostrava la differenza tra l’ora solare reale e l’ora civile standard: un dettaglio che solo gli orologiai più abili dell’epoca osavano implementare.
  • Termometro – All’interno vi era persino un termometro metallico, capace di misurare la temperatura: un elemento curioso e rarissimo in un orologio, indice della volontà di includere ogni conoscenza disponibile.
  • Indicatore di riserva di carica – Un indicatore che mostrava quanta energia restava nella molla di carica, così da sapere quando l’orologio avrebbe esaurito la sua autonomia.
  • Lancetta dei secondi indipendente (cronografo primitivo) – Oltre ai classici piccoli secondi, l’orologio disponeva di una grande lancetta dei secondi che poteva essere avviata e arrestata a piacimento per misurare brevi intervalli, una sorta di proto-cronografo ante litteram.
  • Scappamento ad àncora con doppio pare-chute – Un sistema di scappamento avanzato e due dispositivi anti-urto (pare-chute) ideati dallo stesso Breguet per proteggere gli ingranaggi da sobbalzi e cadute, precursore dei moderni sistemi anti-shock.
  • Materiali pregiati ovunque – Tutti i punti di attrito dei meccanismi erano montati su gioielli di zaffiro per ridurre al minimo l’usura. L’oro sostituiva l’ottone in ogni componente strutturale. La cassa stessa era in oro massiccio, mentre il quadrante principale in smalto bianco era affiancato da uno strato in cristallo di rocca trasparente che permetteva di ammirare l’intricata “anima” dell’orologio in movimento.

Breguet stava creando qualcosa di senza precedenti. Ogni nuova complicazione aggiunta aumentava la sfida in modo esponenziale: far funzionare all’unisono tutti quei meccanismi richiedeva calcoli e soluzioni mai tentate prima. Eppure, per diversi anni, il lavoro procedette con dedizione quasi ossessiva. Si narra che Breguet annotasse sul suo diario le giornate di lavoro dedicando centinaia di ore annuali a questo progetto segreto. L’orologio cresceva come una creatura viva, un delicato mostro di tecnica e arte, che prometteva di essere l’orologio più complicato al mondo. Nessuno, né il committente né la stessa regina, impose scadenze: ironicamente, quel capolavoro aveva tutto il tempo del mondo per nascere. Ma il mondo reale, fuori dalle mura dell’atelier, stava per precipitare nel caos, e con esso il destino di quell’orologio e delle persone a esso legate.

Una regina senza tempo: il tragico destino di Maria Antonietta

Mentre Breguet lavorava nel silenzio operoso della sua bottega, in Francia soffiavano venti ben più sinistri. Nel 1789 la Rivoluzione Francese esplose con furia, travolgendo ogni simbolo dell’Ancien Régime. Per Maria Antonietta – la regina amante del lusso e dell’arte, bersaglio dell’odio popolare – stava iniziando l’ora più buia. In quell’atmosfera di violenza e terrore, persino un orologiaio geniale come Breguet dovette fermarsi: la sua priorità divenne salvare la vita. Egli abbandonò Parigi per rifugiarsi in Svizzera, lasciando il favoloso orologio incompiuto e nascosto al sicuro. Le luci dell’atelier si spensero, gli strumenti rimasero silenti: il cuore meccanico del capolavoro continuava a giacere inerte, in attesa che la tempesta politica passasse.

Per Maria Antonietta, purtroppo, non ci sarebbe stato scampo. Imprigionata dai rivoluzionari nella tetra Tour du Temple, la regina trascorse l’ultimo anno di vita in condizioni misere e umilianti, ben lontane dagli splendori di Versailles. Eppure, anche in quelle tenebre, il legame con Breguet curiosamente affiorò: in una nota del settembre 1792 si legge che Maria Antonietta chiese come favore un “semplice orologio Breguet” da tenere con sé in prigione. Era un piccolo conforto, forse per sentire il ticchettio del tempo in quei giorni disperati; un ultimo legame con il passato e con l’arte che amava. Le venne concesso quell’orologio semplice, ma del magnifico segnatempo che un anonimo le aveva dedicato, ovviamente, non sapeva nulla. Un paradosso crudele: mentre in cella stringeva un modesto Breguet al polso, un ineguagliabile gioiello Breguet stava prendendo forma altrove per lei – eppure non lo avrebbe mai visto.

Il mattino del 16 ottobre 1793 la lama della ghigliottina pose fine alla vita di Maria Antonietta. La regina aveva 37 anni. Non avrebbe mai ricevuto l’orologio che portava il suo nome; il suo cuore si fermò per sempre, ma altrove un altro cuore, quello meccanico del suo orologio, avrebbe continuato a ticchettare in sua vece, come un triste eco. La tragica fine della sovrana aggiunse un’aura sinistra alla vicenda: il dono più elaborato e prezioso pensato per lei restò orfano, maledetto dalla sorte. Molti iniziarono a sussurrare che quell’orologio fosse segnato dalla sventura – dopotutto, la sua ispiratrice era morta nel fiore degli anni, e persino il presunto committente non se la passò meglio.

Infatti, il conte Axel von Fersen, colui che molti ritengono il mandante di questo capolavoro, incontrò anch’egli un destino feroce. Anni dopo, nel 1810, Fersen fu linciato da una folla inferocita a Stoccolma, vittima di accuse e intrighi politici nel suo paese natale. Morì senza sapere nulla del risultato finale del suo amorevole progetto. Il sangue della regina e del suo cavaliere macchiava simbolicamente la leggenda dell’orologio, accrescendone la fama oscura: sembrava che tutte le persone legate a quell’oggetto finissero tragicamente, come in una maledizione degna di una novella gotica. Orologio Maria Antonietta – già il nome stesso pareva evocare un presagio – entrò nell’immaginario come il più lussuoso dei gioielli ma anche uno degli orologi maledetti della storia, un souvenir funesto di un’epoca di eccessi e cadute.

Intanto, Abraham-Louis Breguet sopravvisse alla bufera rivoluzionaria e tornò a Parigi nel 1795 per ricostruire la sua attività. La monarchia francese non c’era più, ma lui tenne vivo il ricordo della sua musa e cliente più famosa proprio continuando l’opera a lei dedicata. Con pazienza e ostinazione, Breguet riprese in mano il progetto dell’orologio N°160 negli anni successivi, determinato a portarlo a compimento nonostante Maria Antonietta non ci fosse più. Ci vollero decenni per terminare quell’opera monumentale: ci furono altre guerre (l’era napoleonica) e altre pause forzate, ma Breguet non dimenticò mai il suo capolavoro incompiuto. Negli anni 1812-1814 dedicò centinaia di giornate di lavoro a rifinirlo, come se quell’oggetto fosse divenuto la sua ossessione e il suo testamento spirituale. Alla fine, fu proprio sul punto di ultimarlo quando il destino bussò anche alla sua porta: Breguet morì nel settembre del 1823, ad un passo dal vedere l’orologio finito. Fu suo figlio, Antoine-Louis Breguet, anch’egli abile orologiaio, a mettere gli ultimi ritocchi. Finalmente, nel 1827, ben 44 anni dopo quella fatidica commissione del 1783, l’orologio Maria Antonietta N°160 vide la luce in tutta la sua gloria.

Una volta completato, nessuno più reclamò l’orologio. Non c’era più una regina ad attenderlo, né un nobile committente a pagarlo. La Maison Breguet lo custodì gelosamente per anni, quasi fosse una reliquia sacra o un tributo alla memoria di Maria Antonietta. Solo molti decenni dopo, verso la fine dell’Ottocento, il pezzo iniziò a circolare: fu venduto nel 1887 ad un collezionista inglese e passò attraverso diverse mani aristocratiche, fino a che approdò in quelle di Sir David Lionel Salomons, un facoltoso appassionato e studioso di Breguet. Salomons era letteralmente affascinato da questo orologio: lo definiva “la poesia del tempo fatta oggetto”. Alla sua morte, la figlia Vera ereditò la preziosa collezione e decise di onorarla in modo degno. Trasferitasi a Gerusalemme, Vera Salomons fondò un museo – il L.A. Mayer Museum of Islamic Art – dove espose, tra gli altri tesori, proprio l’orologio di Maria Antonietta. Sembrava la fine serena di una lunga saga: il capolavoro di Breguet aveva trovato casa in una teca museale, ammirato da visitatori di tutto il mondo. Ma la maledizione non aveva forse esaurito il suo corso.

Il furto del 1983: il mistero dell’orologio perduto di Breguet

La quiete durò fino a una notte di primavera del 1983. Proprio quando la leggenda stava sbiadendo nel rassicurante chiarore della storia dell’arte, ecco che il tesoro maledetto tornò a colpire con un colpo di scena degno di un romanzo giallo. Tra il 15 e il 16 aprile 1983, il silenzio nel museo di Gerusalemme fu rotto da un’ombra furtiva: un ladro abilissimo si introdusse nell’edificio approfittando dell’oscurità e dell’assenza di sistemi d’allarme collegati alle teche. In una scena che pare un film, l’incursore forzò sbarre, si arrampicò da una finestra e penetrò nelle sale dove riposavano decine di antichi orologi. Con incredibile rapidità e sangue freddo, sottrasse ben 106 preziosi segnatempo dalla collezione Salomons, incluso il pezzo più pregiato di tutti: l’originale orologio Marie Antoinette di Breguet. Prima dell’alba, del ladro e del suo bottino non vi era più traccia. L’orologio maledetto era scomparso nel nulla, di nuovo inghiottito dalle tenebre.

La notizia fece il giro del mondo e lasciò sgomenti appassionati e addetti ai lavori: era uno dei furti di orologi più clamorosi della storia. Per oltre vent’anni, nonostante indagini internazionali, appelli e sospetti, dell’orologio di Maria Antonietta non si seppe più nulla. Come uno spettro, il capolavoro sembrava essersi volatilizzato. Qualcuno iniziò a pensare che potesse essere stato distrutto o smontato, viste le difficoltà nel rivenderlo intatto (era troppo famoso, troppo riconoscibile sul mercato clandestino). Altri invece alimentavano l’aura misteriosa, sussurrando che il fantasma della regina avesse finalmente reclamato il suo tesoro, portandolo con sé in un luogo segreto. La storia dell’orologio perduto di Breguet divenne quasi una leggenda metropolitana tra i collezionisti: un mistero insoluto, un caso freddo che continuava ad affascinare e inquietare.

In quegli stessi anni, la Maison Breguet – ormai divenuta un marchio di prestigio facente parte del gruppo Swatch – decise di affrontare a suo modo la maledizione: nel 2005 il presidente Nicolas G. Hayek lanciò la folle iniziativa di ricostruire una copia esatta dell’orologio Maria Antonietta, basandosi sui disegni e i progetti originali d’archivio. Era una sfida epica per gli artigiani contemporanei, quasi una cerimonia per esorcizzare il fantasma del pezzo perduto. Mentre un nuovo team di orologiai lavorava febbrilmente alla rinascita del mito (l’orologio replica avrebbe preso il numero 1160, completato nel 2008), accadde l’imprevedibile.

Nel novembre 2007, a 24 anni dal furto – e curiosamente 224 anni esatti dopo la commissione originale del 1783 – il mondo apprese con stupore che il leggendario orologio era stato ritrovato. In circostanze quasi da romanzo poliziesco, emerse che il responsabile del furto era stato un noto ladro internazionale israeliano di nome Na’aman Diller. Costui aveva custodito l’intera refurtiva in caveau segreti tra Europa e Stati Uniti, tenendola nascosta per decenni poiché invendibile senza destare sospetti. Solo dopo la morte di Diller, avvenuta nel 2004, la vedova venne a conoscenza del segreto e, travolta forse dai rimorsi o dall’impossibilità di gestire quei beni così scottanti, favorì la restituzione degli orologi rubati. Quando gli investigatori fecero irruzione nei depositi indicati, trovarono, intatti, numerosi pezzi della collezione Salomons. Il “Marie-Antoinette” era tra questi, perfettamente conservato. Sembrava quasi che l’orologio avesse dormito un sonno incantato, per poi riapparire magicamente dopo che tutti i protagonisti in carne e ossa (la regina, l’amante, il ladro e persino Breguet stesso) erano scomparsi da questo mondo.

Così, nel 2007, il tesoro maledetto tornò al suo posto nella sala del museo di Gerusalemme, dietro un vetro ancor più spesso e con tutti i sistemi di sicurezza moderni a proteggerlo. Nello stesso periodo, la replica moderna N°1160 veniva ultimata e presentata a Baselworld 2008, quasi come un omaggio definitivo. Il cerchio si chiudeva: l’orologio originale e la sua “ombra” ricreata coesistevano, e la memoria di Maria Antonietta ritrovava un tributo sia storico sia contemporaneo. Ironia della sorte, quell’oggetto progettato per l’eternità aveva rischiato di scomparire per sempre, ma contro ogni previsione era rinato due volte – una volta dalle mani dei restauratori e una volta dalle oscurità della malavita.

Epilogo: l’eredità di un orologio maledetto

Oggi l’orologio Maria Antonietta N°160, con la sua bellezza inquietante e la sua storia tormentata, è considerato uno dei manufatti più preziosi e carichi di mistero dell’orologeria mondiale. Valutato intorno ai 30 milioni di dollari, esposto talvolta in mostre itineranti, esso continua a esercitare un fascino magnetico su chiunque lo osservi. Ma al di là del suo valore materiale e tecnico, ciò che veramente incanta è la trama di vicende umane cucita attorno ai suoi ingranaggi: genio e passione, amore e tragedia, furto e recupero. Ogni graffio invisibile sul suo metallo, ogni ticchettio del suo meccanismo sembra raccontare di regine decapitate, di amanti perduti, di ladri internazionali e di collezionisti visionari. Come un vero “tesoro maledetto”, ha attraversato calamità e sventure per giungere fino a noi, illeso e splendente, quasi beffandosi del tempo e del destino.

Nel suggestivo gioco di luci e ombre della sua leggenda, c’è chi ama pensare che, nelle notti silenziose, questo orologio continui a ticchettare non solo i secondi, ma anche i battiti di cuori del passato. Immaginiamo la Regina Maria Antonietta nel regno dei morti, finalmente intenta a contemplare il dono che non ricevette mai in vita: il delicato rintocco della ripetizione minuti potrebbe essere il suo sospiro, le lancette che si muovono il suo sguardo immobile sul tempo perduto. Forse è solo fantasia, ma di certo l’atmosfera gotica che avvolge l’orologio Maria Antonietta alimenta tali pensieri. In fondo, la sua storia oscura e affascinante è perfetta per essere raccontata in una sera d’autunno, quando le ombre si allungano e il confine tra passato e presente si assottiglia.

L’orologio di Maria Antonietta, il tesoro maledetto di Breguet, rimane un monito e un monumento: monito che nemmeno il lusso e il potere possono sfuggire ai capricci del destino, monumento al genio umano capace di creare meraviglie che sfidano i secoli. Chiunque si trovi davanti a quella teca, vedrà solo un oggetto magnifico, ma ascoltando con attenzione potrà percepire le storie sussurrate dagli ingranaggi. Storie di tempo rubato e riconquistato, di orologi maledetti che, nonostante tutto, continuano a segnare le ore. E chissà, magari allo scoccare della mezzanotte di Halloween, quando il museo dorme e il mondo degli spiriti si desta, l’anima inquieta di una regina senza corona passeggia accanto al suo orologio, sorridendo tristemente nel vedere che, dopotutto, quel regalo tanto atteso è finalmente suo, nell’eternità del mito.

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